Parla il mago del trapianto

Pubblicato il 20 Agosto 2009 su L'Espresso

di Agnese Codignola

Il mio regno per un capello

La calvizie colpisce milioni di uomini. Ma ora si può combattere. Con testi genetici sulla predisposizione e sulla ereditarietà. E con le cellule staminali del bulbo

Geni, e cellule staminali. Sono queste le parole magiche per milioni di persone che vedono inesorabilmente diradare la propria capigliatura, e a cui la scienza finora non ha saputo proporre che palliativi, o rimedi estremi come il trapianto. Gli studi, iniziati molti anni fa, stanno finalmente approdando a qualcosa di più che indicazioni teoriche. Ne è un esempio il test genetico che rivela la predisposizione alla calvizie collegata al testosterone, una delle più diffuse, nota come androgenetica. Spiega Antonella Tosti, docente di dermatologia all’Università degli studi di Alma Mater di Bologna: «Il test è del tutto innocuo perchè fatto su un campione di saliva e analizza le varianti di un gene: la variante G, che indica un rischio del 70 per cento di sviluppare un’alopecia androgenetica grave prima dei 40 anni, e la variante A, collegata, invece, a una probabilità di circa il 70 per cento di non sviluppare la malattia».
Il test è dunque il primo risultato concreto di una ricerca che per motli anni si è concentrata sulla caccia al gene responsabile della caduta dei capelli. Invano: perchè esistono molte forme di calvizia diverse e perchè, come in tutte le altre malattie, da soli i geni non bastano. Lo sforzo ha portato a capire alcuni aspetti fondamentali del fenomeno: è di pochi mesi fa la pubblicazione sullo stesso numero di “Nature Genetics”, di due studi considerati pietre miliari.
Il primo è stato condotto dai ricercatori dell’Università di Bonn e Düsseldorf che, analizzando oltre 500 mila siti nel DNA di 300 calvi, hanno mostrato come esistano due zone specifiche del cromosoma 20 strettamente collegati alla calvizie. I ricercatori tedeschi nel 2005 avevano spiegato un altro mistero, dimostrando che le forme ereditarie, a più forte componente genetica, vengono trasmesse solo dalla madre; per questo chi ne è colpito ha una calvizie che ricorda quella del nonno o di antenati lontani generazioni, ma sempre del ramo materno.
Nel secondo studio i ricercatori della McGill University di Montreal hanno analizzato il Dna di oltre 1.200 uomini e scoperto che il rischio di calvizie aumenta molto se sono presenti alcuni profili genetici sempre nel cromosoma 20; lo studio è stato cofinanziato dalla GlaxoSmithKline, segno che l’industria stà fiutando possibili ricadute cliniche. «In futuro si sfrutteranno meglio queste conoscenze, come quelle sugli altri geni indicati negli ultimi anni come responsabili della capigliatura», dice Tosti, «ma siamo ancora lontani da uno “shampoo genetico”».

Più vicina appare invece la prospettiva di sfruttare le caratteristiche delle cellule staminali del bulbo. La presenza di staminali è stata ipotizzata parecchi anni fa, e poi dimostrata al di là di ogni dubbio. Ne esistono due riserve: una per le cellule che danno origine al fusto del capello e ne determinano la struttura (cheratociti), e una per i melanociti, responsabili della colorazione. Racconta Michéle Martin, direttrice del Laboratorio di genomica e radiobiologia dei cheratinociti del Cea (Commissione per l’energia atomica) di Evry, in Francia: «Il follicolo pilifero è un ottimo esempio di quella che in biologia è definita nicchia, unità funzionale in cui convivono, in un equilibrio dinamico, cellule staminali da cui hanno origine i cheratinociti, e cellule già mature, specializzate. In ogni ciclo vitale il capello attraversa 3 fasi: la “anagen”, di crescita, in cui i cheratinociti si dividono per dare vita al fusto e i melanociti conferiscono la colorazione; la quiescenza, in cui i follicoli si restringono fino a perdere tre quarti del volume, e la fase in cui i capelli cadono, ma si forma una capsula piena di staminali pronte a dar vita a un nuovo follicolo. Oggi siamo in grado di seguire le evoluzioni dei diversi tipi cellulari perchè abbiamo individuati alcuni marcatori delle popolazioni di cellule, e abbiamo capito che l’elemento più importante è il microambiente, perchè gli equilibri della nicchia, le maturazioni delle staminali, le attività di proliferazione e migrazione o, viceversa, il declino e l’atrofizzazione, sono fortemente influenzate da ciò che accade all’esterno».
Particolare importanza, in chiave anticaduta, sembrano avere le staminali che originano i melanociti, molto sensibili allo stress ossidativo e responsabili dell’ingrigimento. È di poche settimane fa, in uno studio pubblicato su “Cell” dai ricercatori dell’Università di Tokyo, la dimostrazione che lo stress, proprio attraverso fenomeni ossidativi, fa aumentare la maturazione dei melanociti e diminuire le riserve delle staminali, favorendo l’ingrigimento e l’indebolimento. È proprio su questo punto che si stanno concentrando molti sforzi. Come quello dell’Oréal, gigante della cosmetica, che sta cercando di capire come creare prodotti che possano avere che possano avere effetti sul microambiente che circonda il bulbo e sulle diverse popolazioni di staminali, per esempio potenziando l’espressione di enzimi protettivi come TRP2, che preserva il melanocita dallo stress intrinseco e ambientale. Per Martin è un traguardo raggiungibile entro cinque o sette anni.
Sulle grandi potenzialità delle staminali dei capelli si concentrano anche molti tentativi di vendere sostanze tanto inutili quanto costose. Come chiarisce Antonella Tosti: «In commercio ci sono prodotti che contengono staminali di origine vegetale, che dovrebbero favorire il rinfoltimento dei capelli. Ma le staminali vegetali secondo alcuni studiosi non esistono neppure, e comunque sono entità cellulari completamente diverse da quelle umane; per questo non hanno alcun effetto sul cuoio capelluto e capelli. Lo stesso valle per i supposti fattori di crescita: non è mai stato dimostrato che servano a qualcosa». Analoga cautela va impiegata con i prodotti che propongono integrazioni con sali minerali o estratti vegetali perchè, sottolinea Tosti, «non c’è prova che esse funzionino, se non quando esiste una specifica carenza accertata. In più possono essere controproducenti: tra gli effetti indesiderati di un eccesso di vitamina A o betacarotene c’è la perdita di capelli». L’unico aiuto concreto può venire da una dieta equilibrata: un giusto apporto di antiossidanti naturali (vegetali freschi) e di carne rossa, che fornisce il ferro e un aminoacido essenziale per la salute del capello, la lisina. Quando invece lo scopo è proteggere la capigliatura da fattori esterni, come il sole, i prodotti in commercio possono realmente aiutare a ridurre l’entità della caduta, tipica del rientro dalle vacanze.

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